La scema del villaggio

 





 

 


L�hanno trovata una mattina, ammonticchiata su se stessa, come sacco vuoto afflosciato a terra,
il suo quaderno di poesie d�accanto, una vecchia polaroid e il mangianastri ancora acceso
con quella canzone che lei diceva sempre che le somigliava


- e si parlava di te
proprio come un pagliaccio�-

 
- La vuoi una poesia?- mi diceva ogni volta che mi vedeva.
- S�, certo - . rispondevo e le sorridevo
Strappava dal suo quaderno un foglio sdrucito, scritto a mano e me lo porgeva, sembrava contenta nel darmelo.
Ne avr� collezionati una quindicina di quei foglietti, stranamente non mi andava di buttarli, erano parole semplici

che parlavano d�amore, di vita e di sofferenza, chiss� quella creatura, forse, vomitava su carta il dolore della sua anima.
Nessuno seppe mai da dove provenisse, abitava una stanzetta all�ultimo piano di una locanda

fuori dal paese e, quando non la si vedeva seduta all�angolo della strada, nessuno sapeva dove passasse i suoi giorni e le sue notti.
Non sembrava giovanissima ma neppure troppo in l� con gli anni, dicono che ogni mattina si pittasse
la faccia per sembrare come gli altri, aggiungeva lei, ma non si cap� mai il significato vero di quelle parole,
n� nessuno vide mai cosa ci fosse sotto quello strano trucco, dicono che fu una delusione d� amore a farle scegliere un nuovo percorso di vita,
quella sua espressione bambina non lo dava a vedere, solo la tristezza che le velava il profondo degli occhi dava testimonianza del suo dramma interiore.
Quando mi diede per la prima volta il suo foglietto poetico, feci l�atto di tirar fuori dal portafogli qualche moneta, pensando che fosse un�accattona in cerca di elemosina



- No � mi ferm� lei � non voglio soldi, non � per questo che ti regalo la mia poesia,

voglio solo un sorriso, regalami un sorriso un sorriso venuto dall�anima e dal cuore,
sincero, non sporcato dal dovere per carit� o accondiscendenza ad una richiesta folle, non solo
una contrazione di muscoli facciali, ma che sorrida la tua essenza,

che le tue labbra, il tuo cuore, il tuo pensiero, si vestano,

per un secondo, di vero -



Parlava con voce bassa, leggermente rauca,

in un italiano perfetto senza accento, col sorriso sulle labbra ma gli occhi no,
non sorridevano, non li ho visti mai sorridere, di un colore strano un misto

di azzurro e viola a seconda dell�ondeggiare del sole dentro le sue pupille, erano come morti.
E quella canzone, sempre la stessa, a farle compagnia.
Ritengo di essere stata sincera quando le regalavo il mio sorriso.
-Come va - provavo a chiederle qualche volta.
Mi guardava come smarrita a quella domanda e poi faceva un gesto ampio con la mano percorrendo
con un�immaginaria circonferenza tutta la piazza
- Bene - mi rispondeva - vedi come la vita scorre serena, non ho la possibilit�

di conoscere i loro drammi dentro le loro mura, io sto al di fuori -


E� restata in me quella frase, come vento ora tiepido ora tempestoso a seconda dei pensieri.
Quante volte stiamo al di fuori credendo quello che non �, quante volte ci fanno interpretare solo un ruolo nella
commedia della vita, perch� � quello che serve, perch� a quello serviamo anche se non lo sappiamo. Mi � capitato giorni fa, per delle fortuite circostanze di sentirmi anch�io la scema del villaggio e mi � venuta davvero
la voglia di mollare tutto e sedermi all�angolo della strada.


Ma esiste poi qualcosa di vero?

 



Da "In un pozzo...la luna..."
 

 






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