Creature del cielo
Nel 1994 il regista neozelandese Peter
Jackson non è ancora il premiato autore
della saga de Il Signore degli Anelli,
ma è già celebre fra gli appassionati
horror per alcune pellicole esagerate e piene
di effettacci splatter. La sia pur limitata notorietà
gli permette di chiedere un budget più sostanzioso
e così gira il film che gli dà ancora più notorietà
e gli fa ricevere premi “seri” in tutto il mondo:
Creature del cielo (Creatures from Heaven).
La vena orrorifica dell’autore trova lo stesso spazio in scene di forte impatto,
ma fondamentalmente è una storia molto legata alla sua terra: così come Pic-nic
ad Hanging Rock (1975) e Un grido nella notte (1988) erano film che avevano
attirato l’occhio del mondo su vicende di cronaca vera della vicina Australia
(la strana sparizione di alcune collegiali nel primo caso, la misteriosa morte
di un neonato ad Ayer’s Rock nel secondo), con Creature del cielo Jackson voleva
raccontare al pubblico una vicenda altrettanto vera che aveva infiammato la propria patria.
Nell’agosto del 1954 tutti
i media neozelandesi sono occupati
dall’andamento di un processo che
infiamma l’opinione pubblica: una
donna è stata uccisa in un parco
dalla propria figlia e dalla di
lei amica... o meglio, dalla di
lei amante. Un’amicizia morbosa che
sfocia in un omicidio... cosa c’è di più cinematografico?
Juliet Hulme era una londinese malata di tubercolosi
la cui famiglia si era trasferita in Nuova Zelanda per
motivi di salute. A scuola fece amicizia con l’introversa
Pauline Parker: l’unica - raccontò in seguito - che le tenne
compagnia durante i lunghi giorni passati in sanatorio.
Qui la giovane Juliet venne sottoposta a cure “alternative”:
cioè a trattamenti farmacologici privi di qualsiasi autorizzazione
e a somministrazione di fortissimi allucinogeni. Intanto il matrimonio
dei propri genitori stava finendo e la vita della donna stava andando a pezzi.
L’unica certezza in quel periodo per la giovane
Juliet era l’amicizia con Pauline, che il ritorno
a Londra al seguito della madre avrebbe spezzato:
l’unica era far venire l’amica con sé, sempre che
la di lei madre fosse d’accordo. La donna non lo
era affatto, e Pauline si rese conto che l’unico
ostacolo alla propria felicità... era il fatto che la madre respirasse!
Il 22 giugno 1954 le due sedicenni portarono la donna in un parco,
e qui l’uccisero con una pietra... colpendola per 45 volte...
Durante il processo venne rigettata
la tesi dell’infermità mentale e le
due donne vennero riconosciute colpevoli a pieno
titolo: solo la loro minore età fece sì che scampassero
alla pena di morte in vigore all’epoca nel paese.Peter Jackson
e il suo sceneggiatore
di fiducia Fran Walsh aggiungono
elementi fantastici ad una storia
che in realtà si scrive da sola.
Il regista racconta di non aver
fatto altro che leggere le riviste
dell’epoca, i giornali e gli atti giudiziari
per trovare una storia già bella e pronta:
a parte alcune ovvie trovate cinematografiche,
non c’era bisogno di inventarsi niente.
Il film vince premi in tutto il mondo (compreso
il nostro Festival di Venezia) ma una spettatrice
si è sempre rifiutato di guardarlo... Juliet Hulme!
Nel 1959, dopo cinque anni di carcere,
la donna viene liberata con una sola
condizione: non dovrà mai più rivedere
Pauline Parker (che venne liberata con la stessa condizione).
Se ne torna il più velocemente possibile a Londra,
cambia nome in Anne Stewart e cerca di ricostruirsi
un’adolscenza. «Io non ho avuto un’infanzia - dirà in un’intervista -
Sono stata fuori circolazione dai 13 ai 21 anni.»
Si appassiona alla scrittura e nel 1979, a 42 anni,
riesce a pubblicare il suo primo romanzo: Il boia
di Cater Street. Si firma prendendo il cognome del suo patrigno, Perry:
quel giorno nasce Anne Perry, fra le più prolifiche autrici viventi
di letteratura gialla! Più di cinquanta romanzi in vetta alle classifiche,
tradotti in tutto il mondo (e in Italia presentati dalla collana Il Giallo Mondadori).
«C’è differenza tra
la finzione e la realtà -
acconta in un’intervista. -
Io cerco di creare omicidi con la minor quantità possibile di dolore inflitto.
Sono molto impressionabile. E poi nelle mie storie non c’è alcuna violenza sugli animali.»
Nel maggio 1995, dopo l’uscita del
film Creature del cielo, il Cincinnati
Magazine la intervista. Alla domanda se Pauline Parker
l’avesse costretta ad aiutarla nell’omicidio, la donna
risponde: «Io ero fermamente convinta che Pauline si sarebbe
suicidata se io non l’avessi aiutata ad uccidere la madre, e sarebbe
stata tutta copla mia. Sentivo che non avevo alcuna scelta. Avrei fatto
di tutto per trovare un’alternativa. Pauline non è qui per difendersi,
quindi io parlo solo per me stessa: troppi altri hanno parlato in vece mia.»
Nel settembre 1997 il giornalista Chris Cooke del New Zealand Woman’s Weekly bussa
alla porta di Hilary Nathan, in un paesino della campagna inglese dove tutti
sanno tutto di tutti... eppure prima dell’arrivo del cronista nessuno sapeva che
sotto quel nome si nascondesse Pauline Parker.Le affermazioni
di Anne Perry secondo cui la Parker
si sarebbe suicidata se lei le avesse
rifiutato l’aiuto hanno fatto il giro del
mondo. Wendy Parker, la sorella rimasta a vivere
in Nuova Zelanda, ha informato il giornalista che
Pauline è pronta a raccontare la propria versione,
dopo 40 anni di silenzio e di vita nascosta, ma non
direttamente: lo fa attraverso la sorella.
Si è laureata dopo essere uscita di galera e si
è trasferita in Inghilterra nel 1965; ha vissuto
fuori dal mondo per tutto questo tempo (anche lei
non ha mai voluto vedere il film di Jackson); a suo
modo ha realizzato il sogno di lavorare con i bambini,
visto che guida il pulman scolastico. Prova rimorso per
ciò che ha fatto e ha scontato con la propria vita quella vita che ha tolto.
«Ad un certo punto ho dovuto
decidere se odiarla per il
resto della mia vita perché
mi aveva portato via la mamma -
racconta Wendy. - È stata la cosa
peggiore che mi poteva succedere.
Visto che eravamo molto unite,
le ho scritto e le ho chiesto “Non posso credere che sia successo.
Non voglio accettarlo”. Hilary [come si fa chiamare Pauline subito
dopo la prigione] mi ha risposto dicendomi “La cosa è sfuggita di mano.
Non so come sia stato possibile che succedesse, ma voglio rimanere in contatto
con te”.» Le due sorelle non hanno mai affrontato direttamente la questione
della morte della madre, ma Wendy sa che la sorella prova un profondo rimorso
e accetta ciò che è successo nelle loro vite «come un terribile incidente.»
Dopo alterne vicende, oggi le due donne vivono entrambi
in Scozia. Acclamata scrittrice di successo mondiale una,
defilata autista di scuolabus la seconda. Entrambe non
si sono mai sposate; entrambe amano i libri (la prima li
scrive, la seconda li legge senza sosta); entrambe biasimano
ciò che hanno fatto da giovani e sembra abbiano rispettato
la volontà del tribunale di non incontrarsi mai più...
Ma certo la Scozia è piccola, e la loro amicizia troppo
forte («eravamo come gemelle»)... Chissà che non si siano rincontrate di nascosto...
Lucio
del Gruppo
Words [email protected]