Il racconto della morte inevitabile
Quando si racconta una storia si “contagia”
la mente di chi ci sta ascoltando,
il quale raccontando a sua volta la stessa storia diffonderà
il contagio: se la storia è potente, questo contagio può durare anche millenni!
È quello che è successo con una storia antica che ha rimbalzato
di mente in mente: una storia universale, visto che parla di morte.
La prima apparizione di questa storia
la troviamo nel Talmud (“Insegnamento”),
che è uno dei testi sacri dell’ebraismo ed è conosciuto
in due versioni: quella di Gerusalemme e quella babilonese,
molto più lunga e redatta fra il V e il VI secolo d.C.
ma contenente testi tramandati in forma orale sin da molti secoli prima di Cristo.
La 53ª sukkah del Talmud Babilonese è una parabola
che racconta di come un giorno Re Salomone si accorse c
he l’Angelo della Morte era triste. «Perché sei così
triste?» gli chiese. «Perché mi hanno ordinato di prendere
quei due Etiopi», risponde l’Angelo della Morte, riferendosi
a Elihoreph ed Ahyah, i due scribi etiopi di Salomone.
Il Re volle salvare i suoi preziosi uomini e li fece
scappare fino alla città di Luz, ma appena giunti qui i
due scribi morirono. Il giorno seguente Salomone incontrò
di nuovo l’Angelo della Morte e vide che sorrideva.
«Perché sei così felice?» gli chiese. «Hai mandato i
due etiopi proprio nel posto in cui li aspettavo!» risposte la Morte.
Al che Salomone espresse la morale della parabola:
«I piedi di un uomo sono responsabili per lui: essi
lo portano nel luogo dove egli è atteso.» Suona strana come morale,
visto che in realtà i due poveri scribi vennero mandati da Salomone a morire, non dai loro piedi!
Il seme è lanciato: varie versioni di questa parabola
infiammeranno la creatività di autori fino ai giorni nostri.
Prenderò in considerazione solo i lavori dal Novecento ad oggi,
visto il loro alto tasso di “contagio” letterario!
La prima citazione che troviamo è purtroppo difficile da confermare.
Nel suo romanzo del 1923, Le grand écart,Jean Cocteauinserisce questo testo conosciuto come
“Il gesto della morte”:
«Un giovane giardiniere persiano dice al suo principe:
“Salvami! Ho incontrato la Morte stamattina.
Mi ha fatto un gesto di minaccia. Stanotte,
per miracolo, vorrei essere a Isfahan”.
Il buon principe gli presta i suoi cavalli.
Nel pomeriggio, il principe incontra la Morte e le chiede:
“Perché stamattina hai fatto un gesto di minaccia al nostro
giardiniere?” “Non era un gesto di minaccia, ma un gesto di sorpresa.
Perché stamattina lo vedevo lontano da Isfahan, e ad Isfahan lo devo prendere stanotte”.
Questo brano “contagiò” la fantasia dello scrittore argentino Jorge Luis Borges, il quale lo inserì prima nell’antologia
Racconti brevi e straordinari (1953) e poi in Antologia della letteratura fantastica (1976).
Visto però che Borges amò così tanto la letteratura da non disdegnare di giocare con essa,
attribuendo quindi ad altri autori testi scritti da sé e prediligendo le “Finzioni”
più di ogni altra cosa, non possiamo essere sicuri della veridicità di questa citazione.
Malgrado poi la grande fama, è molto difficile mettere le mani sulla vasta bibliografia in francese di Cocteau,
quasi impossibile trovare l’opera in questione... e pura follia sperare di trovarla in lingua italiana!
Se però prendiamo per buona la citazione
(visto anche che è stata inserita nell’autorevole
Antologia della letteratura fantastica che contiene il fior fiore di questa produzione)
allora dobbiamo pensare che il “contagio” letterario in dieci anni esatti fece... il salto della manica!
Nel 1933 infatti il britannico William Somerset Maugham
pubblica la sua ultima pièce teatrale:
Sheppey (non ho trovato tracce di un’eventuale edizione italiana).
Questa finisce con la Morte che va a prendere il protagonista,
il quale si rimprovera di non essere fuggito nell’Isola di Sheppey,
dove sicuramente la Morte non sarebbe arrivata a prenderlo. Al che la Nera Signora risponde:
«C’era a Baghdad un mercante che mandò
il suo servo al mercato per far provviste.
E il servo ritornò ben presto, pallido e tremante, e disse:
“Padrone, poco fa, mentre ero al mercato,
fui urtato da una donna nella folla, e quando
mi volsi mi accorsi che era stata la Morte a urtarmi.
Mi guardò e fece un gesto minaccioso. Te ne supplico,
prestami il tuo cavallo ed io abbandonerò questa città
per sfuggire al mio destino. E andrò a Samarra,
dove la Morte non potrà trovarmi”.
Il mercante gli prestò il suo cavallo, e il servo montò
in sella e, spronando a sangue l’animale, partì al galoppo.
Allora il mercante si recò alla piazza del mercato e mi scorse tra la folla.
“Perché hai fatto un gesto minaccioso al mio servo, stamane?” mi chiese, avvicinandosi.
“Il mio gesto non era di micaccia, bensì di sorpresa”, risposi.
“Fui stupita di vederlo a Baghdad poiché avevo un appuntamento con lui questa notte a Samarra”.»
Non sappiamo se Maugham prese d’ispirazione il Talmud Babilonese
o Cocteau per questa storia o se la inventò,
né sappiamo se era consapevole di quanto sarebbe stata... contagiosa!
Già l’anno successivo lo statunitense men che trentenne John O’Hara
pubblica il suo primo romanzo,
destinato a fama imperitura:
Appuntamento a Samarra (Appointment in Samarra).
Come spiega O’Hara stesso nell’introduzione all’edizione del ’52,
originariamente il suo romanzo aveva per titolo The Infernal Grove
(“Il bosco infernale”), ma quando la poetessa Dorothy Parker gli mostrò Sheppey di Maugham
l’autore ne fu colpito: il racconto della Morte inevitabile lo aveva “contagiato”
e non solo volle aggiungere il testo della Morte come citazione iniziale del libro,
ma fece di tutto per cambiare il titolo del romanzo stesso in Appointment in Samarra.
Non aveva alcuna attinenza con gli eventi narrati, se non (nelle intenzioni di O’Hara)
sottolineare l’inevitabilità della morte del protagonista. Né a Dorothy Parker,
né agli editori né a nessun altro piacque quel titolo, ma l’autore si impuntò e l’ebbe vinta.
Nel 2007 il celebre regista Brian De Palma,
contagiato dalla storia, gira il film Redacted
intorno al racconto della Morte inevitabile così
come lo riporta O’Hara. La pellicola è ambientata
proprio vicino alla vera Samarra, in Iraq, dove alcuni
soldati gestiscono un posto di blocco: uno di loro legge e racconta agli altri Appuntamento a Samarra di John O’Hara!>br>
De Palma non è certo stato il solo a rimanere colpito dal romanzo di O’Hara: lo è stato anche il nostrano Roberto Vecchioni.
«Io notai questa bellissima
favola orientale sul frontespizio
di un libro, che era Appuntamento a
Samarra di John O’Hara -
racconta Vecchioni al giornalista
Vincenzo Mollica nella video-intervista Parole e Canzoni (2002).
- Però il raccontino era citato da Somerset Maugham, che è uno scrittore anglosassone,
e mi piacque moltissimo perché era un modello di cultura poi tra l’altro non soltanto orientale: era di tutto il mondo.»
Nel 1977 Roberto Vecchioni ottiene il successo
del grande pubblico con una canzone molto particolare:
Samarcanda, contenuta nell’album omonimo e tormentone dell’epoca.
Il ritornello di violino è scritto ed eseguito da Angelo Branduardi,
il quale accompagnerà Vecchioni nell’esecuzione della canzone nel concerto del 1992 Camper.
Il testo ci racconta che, alla fine di una non meglio specificata guerra,
un soldato sta festeggiando quando si accorge di una «nera signora che
lo guardava con malignità». Intuito che si tratta della Morte,
chiede al suo sovrano di farlo fuggire il più lontano possibile,
e questi gli concede un cavallo velocissimo che lo porterà in poco
tempo a Samarcanda. Ma arrivato in questa città, incontra di nuovo la nera signora.
«Sbagli soldato - gli dice la Morte -
io non ti guardavo con malignità. /
Era solamente uno sguardo stupito: /
cosa ci facevi l’altroieri là? /
T’aspettavo qui per oggi a Samarcanda, /
eri lontanissimo due giorni fa. /
Ho temuto che per ascoltar la banda /
non facessi in tempo ad arrivare qua.»
Il soldato, cercando di sfuggire alla Morte, in realtà gli andò incontro.
Il racconto della Morte inevitabile fece della canzone un caposaldo
della musica italiana. «Non era nata come canzone di successo -
racconta Vecchioni nella citata intervista, - anzi con un motivo
tragico: era nata sulla morte di mio padre, che sembrava essersi salvato
poi improvvisamente un giorno purtroppo se n’è andato. Il destino è beffardo,
crudele come sappiamo, “cinico e baro”: ti promette una cosa e poi non la mantiene.»
Ma perché Samarra diventa Samarcanda?
Avanziamo ora un’ipotesi azzardata.
Nel 1965, dodici anni prima della canzone di Vecchioni quindi, Oriana Fallaciscriveva
ne Il sole muore:
«Pensai piuttosto a quell’atroce racconto persiano
dal titolo “Appuntamento a Samarcanda”. Nel giardino del re,
la Morte appare a un servo. “Domani”, gli dice “ti vengo a prendere...”
Allora il servo corre dal re e gli chiede il cavallo più veloce,
per fuggire lontano: a Samarcanda. Arriva a Samarcanda, l’indomani,
e la Morte è lì che lo aspetta. “Non è giusto”, grida il servo “non è leale”.
“Perché?” risponde la Morte. “Sei fuggito senza farmi finire il discorso.
Io ero in giardino per dire: domani ti vengo a prendere a Samarcanda”.»
Come si vede il racconto è pressoché identico
alle versioni precedenti tranne che per due
particolari: la città è Samarcanda invece di
Samarra, e alla fine la Morte parla al servo e non al signore.
Entrambe queste due variazioni si ritrovano nel testo di Vecchioni..
. e in nessun’altra versione della storia! Malgrado Vecchioni affermi di essersi
ispirato ad una favola orientale conosciuta tramite John O’Hara, è molto più facile
che invece abbia ripreso il testo di Oriana Fallaci: perché però non dirlo chiaramente?
Nel 1979 la Fallaci riprende in forma più ampia e particolareggiata
la storia nel libro Un uomo, ma in questo
caso non è lei che racconta ma la storia le viene raccontata.
Al di là della vera ispirazione di Vecchioni,
sta di fatto che dalla fine degli anni Settanta
in poi il nome Samarra scompare dalle traduzioni italiane!
Mentre infatti nel mondo anglosassone,
grazie a O’Hara, è Samarra ad indicare
l’ineluttabilità della Morte, in quello italiano sarà il nome Samarcanda.
Così quando nel 1990 viene tradotto in italiano Ricordi di mezzanotte
(Memories of Midnight) di Sidney Sheldon, il fugace riferimento a Samarra...
viene bellamente modificato!
«Hai mai letto “Appuntamento a Samarcanda”,
Catherine? No? Peccato, ormai è troppo tardi.
Parla di un uomo che cercava di sfuggire alla morte.
Si rifugiò a Samarcanda e la morte era lì che lo aspettava.
Questa è la tua Samarcanda, Catherine.»
Questo dialogo fra un assassino e la sua vittima
in lingua originale riporta Samarra: magicamente
in italiano diventa Samarcanda... Visto questo importante precedente,
come facciamo ad essere sicuri che i successivi riferimenti a Samarra,
in romanzi di lingua straniera, non siano stati anch’essi modificati? Probabilmente,
lo sono stati tutti...
La Morte come un angelo,
la Morte che dava appuntamento
a Samarcanda» Robert Bloch, La mietitrice (Reaper, 1986).
«Conosce il racconto orientale
Appuntamento a Samarcanda?» Gérard de Villiers,
SAS Vendetta a Beirut (Vengeance à Beyrouth, 1993)
«La storia degli ultimi giorni
di Mozart è entrata nella leggenda:
un ignoto messaggero recapita una convocazione
dall’aldilà per preparare un eroe predestinato a un appuntamento
a Samarcanda.» Maynard Solomon, Mozart (Mozart. A Life, 1995).
«Andiamo, bellezza. Ho un appuntamento
a Samarcanda, o qualcosa del genere.» James Patterson,
A Jennifer con amore (Sam’s Letters To Jennifer, 2004).
Per amor di verità vanno citate anche le eccezioni.
«Chi ha un appuntamento a Samarra non si dirigerà invece verso Newark.» Ed McBain, Una città contro (Downtown, 1989).
«Qualcosa sul destino, gli pareva, e su certi appuntamenti in Samarra.» Stephen King, Insomnia (1994).
Sono tantissime le citazioni e i rifacimenti
della storia. Nel 1975 il poeta iracheno Fadhil
al-Azzawi raccoglie nell’antologia The Eastern Tree
la poesia An Appointment in Samarra, in cui il servo riesce
a sfuggire alla Morte rifugiandosi in una città in cui nessuno
lo conosce e in cui nessuno sa della sua esistenza... non è anche questo morire?
Molte di queste citazioni, poi, sono ampiamente
rimaneggiate. Quando per esempio nel 1969 venne
portato sullo schermo il romanzo MacKenna’s Gold di Heck Wilson
Allen con il celebre film western L’oro di Mackenna di John Lee Thompson,
viene aggiunto un prologo in realtà assente nel romanzo.
«C’è una vecchia storiella che raccontano
gli Apache, di un uomo che cavalcava per
il deserto e incontrò un avvoltoio (quelli
che chiamano corvi tacchini, qui nell’Arizona)
appollaiato su una roccia. Dice l’uomo: «Ehi, corvo tacchino,
cosa ci fai qui? T’ho visto che volavi sopra Hadleyburg e per
non incontrarti ho cambiato strada e sono venuto qui”. E l’avvoltoio
gli fa: “Ma guarda che strano: ci sono passato per caso là ad Hadleyburg.
Io stavo venendo qui... ad aspettarti”.»
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La storia di sapore persiano
diventa leggenda apache! L’operazione
“contagia” lo scrittore Stephen Gunn
(pseudonimo dell’italianissimo Stefano Di Marino)
il quale in apertura del suo romanzo Il grande colpo del Marsigliese (1997) scrive:
«Sulla via per Nogales un cavaliere vede
un avvoltoio. Allora cambia strada e compie
un largo giro sino al Canyon del Muerto.
Qui ritrova l’avvoltoio e gli domanda: “Cosa ci fai qui?
Ti ho visto sulla strada per Nogales”... “Strano” risponde
l’avvoltoio “perché io ero diretto proprio qui. Ad aspettarti”.»
Il testo viene spacciato come “Un vecchio detto tarahumara”, in una deliziosa operazione di doppia citazione.
È mai esistita una favola orientale che trattasse
della Morte inevitabile nei termini a noi noti? Malgrado
non esistano prove al di là del Talmud Babilonese,
sicuramente sarà esistita e magari esiste ancora.
Quel che è certo è che in Occidente,
dal Novecento in poi, qualsiasi
vera favola orientale è stata soppiantata dall’Appuntamento a Samarra di John O’Hara,
che si rifaceva al britannico Maugham e (forse) si rifaceva al francese Cocteau.
A chi si rifaceva quest’ultimo? Non lo sappiamo.
Tutto ciò che sappiamo è che la storia
della Morte inevitabile ha contagiato
generazioni di scrittori e lettori,
rimanendo viva e fertile dopo quasi due millenni
di vita. Forse perché parla della più incurabile
delle malattie, della più inevitabile delle sorti...
o semplicemente perché è una bella storia!
Lucio
del Gruppo
Words [email protected]